LudoClub
Altri mondi => Il salotto di Ludoclub => Topic aperto da: momo - 02 Settembre 2015, 09:09:33
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Anche a questo sono iscritta :)
http://unaparolaalgiorno.it
Ogni giorno mi mandano una mail diversa con la spiegazione, usi e curiosità , di parole, fra le più comuni alle meno utilizzate
Oggi vi regalo questa
La utilizzo, da romana, praticamente ogni giorno, ma non avevo idea avesse a che fare con l'uncino
Scroccare
scroc-cà -re (io scròc-co)
Significa ottenere qualcosa a spese d'altri, senza merito
da crocco, cioè 'uncino', preceduto da una s- derivativa.
Se questa parola già riesce simpatica, l'etimologia ce la rivela di una vivacità e una scherzosità inarrivabile.
Scroccare vuol dire riuscire a ottenere gratis qualcosa che gratis non è, a spese d'altri - con furbizia o sfacciataggine. Ti aspetto all'uscita da lavoro per scroccarti la cena, con la scusa di una visita vivo a scrocco da te per una settimana, fingo di conoscere il festeggiato per scroccare il buffet di laurea.
Questo significato, così comune, è veicolato dall'azione dell'uncinare; l'uncino è uno strumento che permette di infilzare qualcosa rapidamente e con una certa violenza: scroccare, in altri termini, vuol dire arpionare qualcosa, con abile mossa (pensiamo al pirata che, passando accanto alla tavolata, acchiappa il fagiano arrosto con l'uncino che ha al posto della mano... scroccandolo). Così lo scroccare trasmette tutta la dimensione dell'indebito, con una vena più che ironica.
Va detto che, anche se è un senso desueto, 'scroccare' può avere il valore di 'scoccare': le balestre scroccano i loro dardi. Questo è un caso di epentesi, cioè un caso di inserzione di un suono in una parola (la 'r' in 'scoccare'); è stato maturato per influenza della parola 'crocco', che oltre ad avere il significato di uncino, indicava anche lo strumento a cremagliera che serviva, appunto, a tendere la balestra per caricarla. Le più letali avevano un arco talmente duro da piegare che per infilare il dardo era necessario un aiuto meccanico.
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(http://spettacoli.tiscali.it/cinema/GALLERY_FILM/HO/00517514.JPG)
Invitami a cena, corpo di mille balene!
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Pensavo che crocco fosse un temine napoletano. Non si finisce mai di imparare.
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Di questa non mi piace il significato, ma adoro il suono
Facinoroso
fa-ci-no-rà³-so
SIGN Violento, ribelle
dal latino facinorosus, da facinus 'azione', in particolare 'azione scellerata' - da facere fare.
Questa parola, per quanto nota, ha dei connotati piuttosto specifici che spesso non sono còlti. Dato che è ha un significato molto utile, vediamo di padroneggiarla.
In latino, 'facinus' nasce col significato generico di 'azione', in quanto derivato di 'facere'. Ma subito, questo generico 'fare' prende la piega di un fare cattivo, di un'azione criminale. Il facinoroso è quindi il criminale? Grossomodo sì, ma con delle peculiarità .
Il facinoroso, infatti, si è attestato nell'uso italiano non come semplice sinonimo di delinquente, ma piuttosto quale persona incline alla violenza, alla rissa, alla ribellione. Nel facinoroso resta molto forte il carattere del fare, declinato nel senso più bruto. In altri termini, in certi casi il delinquente può avere il colletto bianco e il criminale può essere sofisticato, il facinoroso no. Quindi la città può essere assaltata da una banda di tifosi facinorosi, il facinoroso può venire isolato nella manifestazione, e il dibattito acceso ma civile può essere messo in crisi dalle reazioni di certi facinorosi.
Significato utile, dicevamo, perché definire un'inclinazione bestiale la circoscrive. E anche se la semplice definizione non disinnesca il furore del facinoroso, una buona interpretazione dei fenomeni è alla base di una risposta adatta.
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A me no, quel "noroso" mi intruglia la lingua!
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io infatti ho detto che mi piace il suono, mica pronunciarlo :)
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Ahahahah
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Ecco, questa è una parola che non ho mai usato e credo non userò mai..
Apollineo
[a-pol-lì-ne-o]
SIGN Proprio di Apollo; di bellezza armoniosa; solare
dal latino [apollineus], dal nome di [Apollo], divinità solare della bellezza e delle arti
Un aggettivo raffinatissimo, dai significati variegati ed estremamente utili - anche se non semplicissimi.
Apollo, per le antiche religioni greche e romane, era un'importante divinità associata al sole e alla bellezza, che presiedeva alle arti (infatti aveva le Muse come sue scagnozze). Capiamo quindi subito che un aggettivo che significhi 'proprio di Apollo' offre una certa massa di spunti.
In particolare, il suo significato più succoso ci racconta la qualità di una grazia armoniosa, perfetta; un tipo di grazia che possiamo associare proprio all'arte classica. Una bellezza apollinea evoca subito il riferimento a una bellezza statuaria, ma può anche richiamare l'ordinata limpidezza della poesia. Si può allora parlare del fisico apollineo del modello, o della grazia apollinea di un commento particolarmente lirico; ma è necessario stare attenti. Infatti questo tipo di altissima bellezza è tutt'altro che sensuale, e anzi risulta piuttosto freddo e distante.
Questo rilevante dato lo ritroviamo a fondamento dell'antitesi descritta dal filosofo Nietzsche fra spirito apollineo e spirito dionisiaco, che lui pone alla base della nascita del genere della tragedia: è contrapposizione e incontro fra un impulso razionale, ideale e ordinato e uno (il dionisiaco) entusiasta, sensuale e caotico - antitesi eloquente, da cui Nietzsche sviluppa interessanti considerazioni sulla persona e sulla società . Quindi, quando diamo l'attributo di apollineo a qualcosa o a qualcuno, è bene tenere presente questa peculiare ambivalenza, che unisce nella perfezione bellezza e distanza. Insomma, non si tratta di un complimento assoluto: il modello apollineo non fa sangue, e il commento apollineo non scuote.
Il fatto, poi, che Apollo si sia affermato come divinità del sole (scalzando Helios), ha invitato l'uso letterario di 'apollineo' come sinonimo aulico di 'solare'. Ma non è un uso proprio sulla cresta dell'onda.
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Apolleneo: escrescenza cutanea presente su Polle.
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ahahahhaha
allora così posso usarla anche io! :)
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no, dico, potevo IO non pubblicarla?!?!
La parola del giorno è
Rintronato
[rin-tro-nà -to]
SIGN Assordato, stordito, confuso; persona ottusa
rafforzativo di [intronare] assordare, stordire, composto da un [in] illativo e da [truono], antica variante di [tuono].
In una parola così comune, e spesso così sprezzante, si nasconde una grazia inattesa.
'Rintronato' è il participio passato di 'rintronare', un verbo che nasce dal più antico 'intronare' e lo soppianta. È una voce intensa, e descrive l'essere assordati dopo lo scoppio di un tuono - o un suono simile. Quindi, propriamente, si può essere rintronati dal clacson del camion, o dal botto di un fuoco d'artificio. Ora, quando qualcosa ci rintrona non è che ci ritroviamo proprio alla vetta delle nostre facoltà psicofisiche: siamo storditi, forse anche un po' confusi. Non ci resta un'espressione acuta in viso. Così il rintronato - come anche lo stordito! - passa a significare il personaggio ottuso, un po' tardo di mente.
Se vogliamo, fra le mille offese che si possono lanciare è una delle più comprensive e bonarie - anche se, con tutte quelle 'r' e 't', ha un suono aggressivo. Dopotutto, implica un contingente non essere al meglio, piuttosto che un carattere negativo intrinseco.
(concludo, di mio, con "non c'è vita prima del caffè :asd:)
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Magia
[ma-gì-a]
SIGN Arti, pratiche occulte, credenze volte a esercitare un dominio su forze naturali e soprannaturali; fascino, incanto
dal greco [magheìa], da [mà gos], nome con cui erano conosciuti gli appartenenti a una casta sacerdotale zoroastriana.
Parola conosciutissima, ma... ovviamente ha un certo fascino che deve essere spiegato.
Tutta la colossale vena concettuale che colleghiamo al nome di 'magia', in cui confluiscono Harry Potter ( <3), i malocchi e gli amuleti,
le credenze astrologiche, i polverosi tomi di negromanzia, la meraviglia dei tramonti,
il fascino di aure ineffabili, le evocazioni demoniache, la taumaturgia,
scaturisce da una figura storica precisa - per quanto i suoi contorni siano sfumati, e se ne sappia meno di quanto una vorace curiosità bramerebbe.
Erodoto, nelle Storie, racconta di una particolare casta sacerdotale persiana: i Magi. Si trattava di una casta ereditaria, depositaria di saperi occulti, che in particolar modo riguardavano l'astrologia e l'interpretazione dei sogni. Fino all'unificazione persiana del VI secolo a.C, il suo potere fu grande; lo recuperò in parte quando l'Impero Romano iniziò a perdere pezzi, e per tutta l'era Sasanide, fino all'avvento dell'Islam, quando dei Magi si persero le tracce.
Ora, secondo le credenze classiche, furono proprio i Magi a inventare l'astrologia e la magia. Con poesia, si può quindi affermare che 'magia' è un eponimo, che come mille altri trae il nome dal suo inventore. E anche se il nome di 'mago', in breve, prese anche il significato di ciarlatano, i Magi, coi loro straordinari, misteriosi saperi, ebbero un carisma globale; non solo il nome della magia portò il loro nome fino alle sponde dell'Atlantico e oltre, ma perfino l'ideogramma cinese per 'magia' è collegato alla loro araldica.
E davanti a questo magnetismo così invincibile viene da domandarsi, e viene da immaginarsi, come è che ti guardavano i Magi, come è che si muovevano,
come è che parlavano, che cosa leggevano nei sogni e nelle stelle, e che cosa davvero sapevano.
Dove stesse la loro magia - che in un certo senso c'era, e c'è, se no non staremmo qui a parlarne
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questo invece mi ha emozionata
la magia è magica insomma :fp: :cool: :asd: :asd:
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E i magiari?
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sono pericolosi
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Apologia
[a-po-lo-gì-a]
SIGN Discorso di autodifesa; difesa, esaltazione
dal greco [apologhìa] 'difesa', composto da [apò] che indica allontanamento e [-loghìa] discorso.
Vogliamo buttare questa parola in un calderone con sinonimi approssimati, come elogio, celebrazione, encomio, panegirico? No.
Ha un significato preciso, e va valorizzato.
L'apologia nasce nell'antica Grecia come orazione processuale, pronunciata dall'accusato, che si difendeva personalmente.
Molte volte, magari non avendo particolari abilità retoriche ed essendo alta la posta del giudizio, l'accusato poteva rivolgersi a un logografo,
uno scrittore che stendesse per lui, a pagamento, il discorso da fare per difendersi al processo.
Celeberrima è rimasta l'apologia di Socrate - raccontata da Platone. Un discorso davvero formidabile, che pure non gli valse l'assoluzione.
Oggi questa parola, comunemente, la troviamo in locuzioni giuridiche come 'apologia di reato', o 'apologia di fascismo'.
In questi casi pare che consista in un'esaltazione, in un incitamento - che la legge punisce; ma il confine fra difesa ed esaltazione, per quanto sottile, c'è.
(Purtroppo, non si può fare affidamento sul lessico giuridico per gli usi più corretti delle parole).
Infatti una difesa può bene essere un'esaltazione, ma l'atteggiamento mentale resta, appunto, difensivo. Non è uno slancio puro, ma oppositivo.
Quindi il celebre scrittore può fare l'apologia del film tanto criticato, si può parlare dell'apologia che il politico fa a sostegno delle sue scelte, e si può fare l'apologia di una consuetudine discutibile.
Essendo poco nota e non vivissima nell'uso corrente, ci possono essere delle normali incertezze nel pronunciare questa parola; ma basti ricordare la sua origine:
l'apologia è un discorso di difesa - che ha tutta la passione e la retorica del caso
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effettivamente non credo saprei usarla al di la dell'utilizzo citato...mmm...mmm...
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Papologia: esaltazione di aleman quando gioca col figlio in braccio
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ahahhaah
un giorno creerò un dizionario tutto moonesco :D
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Moonabolario: parole e frasi dalla terra alla luna.
A cura di Momo.
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ahahhaah
un giorno creerò un dizionario tutto moonesco :D
Un dizionario dichiarato patrimonio dell'umanità dal Moonesco!
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è un pò che non ne scrivo, quindi devo scegliere...o postarle tutte!
Inizio così :)
Pourparler
[purparlé]
SIGN Colloquio riservato
voce francese, sostantivazione dell'antico verbo [pourparler], composto di [pour] per e [parler] parlare.
Una parola favolosa.
Il pourparler è l'abboccamento, ossia il colloquio preliminare riservato con cui si iniziano le trattative per un affare, si delineano le convergenze su un progetto, e in generale si discute la possibilità di un accordo.
Non si tratta di un incontro formale, né definitivo: ci si incontra così... per parlare.
Ora, se come sostantivo riesce straordinario, con valore avverbiale non ha lo stesso mordente:
se dico «Abbiamo fissato un pourparler» il risultato è al tempo stesso ricercato e brillante, e ha una sapida sfumatura di scafato e rilassato;
se dico «Ci siamo visti pourparler», invece sembra che io butti là una parola francese per darmi un tono, approssimando una traduzione di 'per parlare'.
Ricordiamo quindi che la parola 'pourparler' indica proprio quel preciso genere di incontro, e non l'attitudine con cui ci si trova.
Allora si organizza una serie di pourparler per sondare gli umori politici rispetto a una riforma;
con la bella commessa si fissa un pourparler disinvolto davanti a un caffè; e riponiamo grandi speranze nel pourparler che abbiamo in agenda
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mmmm...le rare volte che lo uso in realtà è per sminuire una reazione a qualcosa che ho detto, per togliergli un pò importanza
Cioè, del tipo
Ma dai, era tanto per, non pigliarla seriamente
(mi sa che con Lucky1-2-3 la usiamo spesso...ma li credo sia credo con un significato un pò diverso..ehehehe)
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Pourpaller [purpallé]: Tanto per dire due palle
Oggi viene un condomino per un pourpaller: gli devo raccontare due stronzate per tenerlo buono
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(mi sa che con Lucky1-2-3 la usiamo spesso...ma li credo sia credo con un significato un pò diverso..ehehehe)
:D :D :D
comunque nemmeno io sapevo che avesse questo sgnificato specifico! Ormai in Italia un po' per tutti è effettivamente diventato sinonimo di "tanto per parlare" :unknw:
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Cariatide
[ca-rià -ti-de]
SIGN Scultura femminile usata come colonna; persona indolente o indifferente; persona retrograda
dal greco [karià tis] donna di Caria.
Quanto gusto in una sola parola!
Se avete presente l'Acropoli di Atene, forse avrete in mente anche l'Eretteo, il più antico fra i templi che vi si trovano,
luogo magico dei primi culti ateniesi. Questo tempio ha una particolare loggia, sorretta da colonne scolpite come figure femminili: le Cariatidi.
Secondo la ricostruzione etimologica classica, propriamente, le Cariatidi altre non erano che le donne di Caria, un'antica città del Peloponneso.
Durante le guerre persiane, questa città si era schierata dalla parte sbagliata: i Persiani.
Così quando gli Ateniesi trionfarono, come era riguardoso uso dei tempi, fecero schiave tutte le donne. (mi sembra giusto :mad:)
E con un' ironia garbatissima gli scultori ateniesi immortalarono le tristi e affaticate donne deportate da Caria nella loggia dell'Eretteo, a imperitura memoria.
Simpatici.
Dalle Cariatidi dell'Eretteo scaturisce così il nome generico di cariatide quale colonna scolpita con le fattezze di donna.
(Diciamolo, non solo colonna: può essere una cariatide anche una parasta, cioè un pilastro inglobato nella parete e da cui sporge appena,
o una lesèna, elemento visivamente simile alla parasta ma che non regge nulla ed è solo decorativo).
Il bello dei significati figurati di questa parola è che fanno ironia su questo tipo di scultura.
Mentre gli omologhi maschili, i telamoni, sono quasi sempre raffigurati tutti tesi nello sforzo titanico e macho di reggere il peso dell'edificio,
le cariatidi sono tendenzialmente statiche e indifferenti, nel viso e nella posa.
Allora la cariatide diventa subito la persona indolente, silenziosa, che non si muove.
E la vocazione all'eterna immobilità della Cariatide suggerisce anche il significato di persona retrograda, di idee antiquate.
Quindi può essere una cariatide l'amico posapiano che segue ciò che gli succede intorno con un po' di ritardo,
durante la partita di calcetto ci si pente di aver messo una cariatide in porta, la cariatide di turno profetizza il ritorno alla carta dei quotidiani,
e il grande attore è ormai ridotto a una cariatide ma continua a riempire i teatri.
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(io l'ho sempre usata come sinonimo di "decrepita" :unknw:)
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Io sono una cariatide allora!
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Cariatide: persona che non si decide ad andare dal dentista per risolvere i propri problemi.
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:)
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Avendo fatto il classico, conoscevo bene la parola, e l'ho sempre usata per indicare una persona bella e fiera, ma poco attiva.
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io a scuola ho imparato fondamentalmente il
"appizza il fumo che arrivano gli infami" :D :D
(si capisce che scherzo, vero? :look:)
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Io ovviamente come momo, l'ho sempre usato come sinonimo di vecchio decrepito... però effettivamente con una sfumatura di immobilismo.
CIoè sei talmente vecchio che ormai sei immobile, una cariatide appunto :D
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Questa è per Lucky
Anzi, per me e Lucky <3 :D
Gossip
[gòssip]
SIGN Pettegolezzo, chiacchiera, specie in senso giornalistico
Voce inglese, derivato dall'antico inglese [godsibb] 'padrino'.
Successivamente questo significato fu esteso a 'conoscenza familiare', e 'persona con cui si parla di cose futili in maniera familiare'.
A partire dall'Ottocento, prese il senso di '**chiacchiera inutile, voce senza fondamento'.
Gossip è un sinonimo di pettegolezzo solo in senso approssimato.
Infatti, nell'uso corrente, è il nome di un genere di notizia, una categoria di chiacchiera che ha ad oggetto indiscrezioni e mondanità
- il che è particolarmente evidente in ambito giornalistico (pensiamo alle riviste di gossip).
In altri termini, se parliamo di un pettegolezzo o di pettegolezzi, ci stiamo probabilmente riferendo a delle voci o a delle notizie frivole precise,
mentre se parliamo di gossip siamo più generici, e ci riferiamo a un genere di chiacchiera che si declina in varà® pettegolezzi.
Oggi la questione del gossip sembra ci sia un po' sfuggita di mano.
Però non va dimenticato che rappresenta una categoria di discorsi e notizie fondamentale:
è infatti necessaria a coordinare un gruppo di persone, mettendone sul tappeto gli equilibri e discutendone.
Il che è evidente nella dimensione famigliare suggerita dall'etimologia.
Quindi non è una chiacchiera così futile come sembra - o non in assoluto.
Certo, quando ha ad oggetto celebrità , in pratica, è narrativa.
** mi dissocio dall'inutilità
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(http://data.whicdn.com/images/51113048/large.gif)
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tutta invidia
anzi, tutta curiosità
anzi, terrore :D :D
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Terrore è la parola giusta :D
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Però non va dimenticato che rappresenta una categoria di discorsi e notizie fondamentale:
è infatti necessaria a coordinare un gruppo di persone, mettendone sul tappeto gli equilibri e discutendone.
(...)
Quindi non è una chiacchiera così futile come sembra - o non in assoluto.
sempre detto io u_u
ma poi a parte gli scherzi, è vero che quello che chiamiamo gossip spesso è solo un analizzare persone e situazioni, mettere a confronto esperienze, sfogarsi ecc ecc ecc...
Poi vabbè Moon fa bene ad essere spaventato, ma è tutto un altro discorso :D
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Noi svolgiamo un'attività importante per la società , altro che!
Analisi, riflessione, condivisione...dovrebbero solo prendere esempio, ecco
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Quella di oggi in realtà sarebbe questa
Sinceri, senza googlare
Chi ne conosceva quanto meno l'esistenza?!!?
Mai sentita pronunciare, e nemmeno mai letta... :unknw:
Euneirofrenia
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Mai sentita. Voglio sapere!
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Mai sentita, posso provare un abbozzo di etimologia, visto che sembra essere di origine greca
eu=buono
oneiros=sogno
frenia è qualcosa che indica il cervello, credo
Ipotizzo qualcosa vicino a "un buon sogno mentale"... boh.
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Euneirofrenia
[eu-nei-ro-fre-nì-a]
SIGN Pace della mente dopo un bel sogno
dall'inglese [euneirophrenia], costruito a partire dal greco [eu-] buono, [oneiròs] sogno e [-phrenìa] elemento che nelle parole composte indica la mente.
Parola dal bellissimo significato, anche se fragile. <3
Questa parola non è stata italianizzata prima del 2011, e perfino in inglese non appare prima del 2001.
Quasi mai si trova usata in ambito medico o psicologico.
Dobbiamo pensare che si tratti di un'invenzione letteraria, anche se non è evidente da dove salti fuori.
Dopotutto è naturale: il lessico medico e psicologico è intrinsecamente versato nell'indicare patologie,
non bei sentimenti, che non hanno bisogno di essere studiati per trovare rimedi.
Ciò non toglie che si tratti di una gustosa invenzione - e quanto sono importanti le parole con bei significati!
L'euneirofrenia è quel sentimento di pace rilassata e sorridente con cui ti svegli quando hai appena fatto un bel sogno.
L'onda lunga di quella bellezza onirica lambisce la prima fase del risveglio: proietta il sentimento del sogno nella realtà , e la giornata comincia benissimo.
Si tratta di uno sconfinamento meraviglioso, tutto interiore, che ci fa capire quanto del nostro stato d'animo dipenda dal pensiero che facciamo.
Perché se non si può vivere di sogni, la realtà della nostra vita, dentro e fuori, dipende comunque dal pensiero, e dalle sue immagini;
e l'euneirofrenia è una bellezza tutta nostra.
:love: :love: :love:
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Oh dai, non ci ero andato lontano, ma letta lì è molto più bella :D
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siiiiii
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un bellissimo significato per un bruttissimo suono! ma sapete che forse io non l'ho mai provata questa euneirofrenia?
ah, bravissimo aleman che aveva ricavato da solo il significato :O ma quante ne sai?? :D
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Come no!
Io si, un sacco
e anche il contrario
ricordo una volta che sognai il tipo con cui stavo nella vasca da bagno con altre due donne, e mi diceva che per me non c'era spazio :look:
io non gli ho parlato per tutto il giorno
mi stava proprio sulle balle!
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un bellissimo significato per un bruttissimo suono! ma sapete che forse io non l'ho mai provata questa euneirofrenia?
ah, bravissimo aleman che aveva ricavato da solo il significato :O ma quante ne sai?? :D
Troppa grazia, Sant'Anto'! :D
Ci ho provato ma non avevo capito mica il senso.
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Cattività
[cat-ti-vi-tà ]
SIGN Prigionia, schiavitù; stato dell'animale catturato e costretto a vivere in gabbie o recinti
dal latino [captìvitas] prigionia, da [captivus] prigioniero.
È una parola che appartiene a un registro aulico, tranne che per un particolare uso, molto comune.
La cattività è la prigionia, uno stato di schiavitù o di servaggio.
Fra le cattività per eccellenza possiamo ricordare quella avignonese dei papi, o la cattività degli Ebrei a Babilonia.
Comunque si può anche parlare del periodo di cattività dell'ostaggio, della cattività dei deportati, delle malattie contratte durante la cattività .
Oggi, nella stragrande maggioranza dei casi, con questa parola ci si riferisce alla prigionia degli animali selvatici.
In altri termini, indica lo stato in cui è ridotto l'animale selvatico catturato dall'uomo e costretto a vivere in un recinto o in una gabbia.
I fini della cattività possono essere i più disparati, e non tutti nobili: ricerca, conservazione della biodiversità , educazione, intrattenimento.
È comunque curioso ed eloquente che, senza malizia, per indicare qualcosa del genere, sia stata scelta una parola così nettamente negativa.
(Ha qualcosa a che vedere col cattivo? Sì.)
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Beh, finalmente una parola che conosco e uso nel modo corretto
Ora vado a cercare servaggio che suppongo non essere selvaggio in romano :D :D
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Gattività : stato di prigionia dei felini selvatici.
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Brocardo
[bro-cà r-do]
SIGN Massima giuridica, specie latina
probabilmente, alterazione di [Burchardus], vescovo di Worms, vissuto, fra il 950 e il 1025, autore delle "Regualae Ecclesiasticae".
Per brocardo si intende una massima, il più delle volte latina, con cui si esprime un principio giuridico.
I brocardi sono un pilastro della cultura giuridica occidentale: non si deve scordare che gran parte del diritto moderno è figlio del diritto romano,
ed è naturale che una certa mole di principi giuridici possa anche oggi essere espressa tramite massime latine.
È vero, molte volte sono usate in maniera ostentata e vanesia, per nobilitare (e per rendere più oscuro ai non addetti ai lavori) un discorso giuridico;
ma esprimono concetti complessi con una sintesi efficace e gagliarda.
Questo nome nasce come antonomasia: Burcardo di Worms fu un vescovo vissuto fra il primo e il secondo millennio che raccolse,
nella sua opera "Regulae Ecclesiasticae", un gran numero di locuzioni giuridiche latine. Fu poi la scuola dei glossatori di Bologna,
vero nucleo della rinascita del diritto dopo il silenzio barbarico, a riprenderla e a determinare il successo di questo tipo di locuzione.
Va ricordato che si tratta di massime spesso estrapolate dall'ultima e più grande compilazione di diritto della latinità ,
il Corpus iuris civilis di Giustiniano; inoltre, va notato che impropriamente finiscono per essere ricondotte a brocardo locuzioni latine che,
pur non esprimendo una massima giuridica, hanno a che vedere col mondo delle leggi.
Quindi è un brocardo «Pacta servanda sunt», 'i patti vanno rispettati', come anche «Nulla poena sine lege»,
"nessuna pena può essere comminata senza che sia prevista da una legge', ma viene spesso ricordato come tale anche «Dura lex, sed lex» 'la legge è dura, ma è legge'.
Comunque, sono migliaia.
Insomma, il latino sarà pure una lingua morta, ma - come dire? - continua a fermentare.
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Ecco una parola che non userò mai... :look:
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(http://bertola.eu/nearatree/wp-content/uploads/2009/06/bracardi.jpg)
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io invece voglio cominciare ad usarla, mi piace il latino e mi piacciono i motti latini (i quali a quanto pare parlavano solo per massime... loro e Churchill)
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Brocardillo: massima usata da absolute.
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Brocardillo: massima usata da absolute.
aahahahahahahah
questa mi piace!! :)
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Crivellare
[cri-vel-là -re (io cri-vèl-lo)]
SIGN Fare numerosi fori in qualcosa, bucherellare
da [crivello], tipo di vaglio, derivato dal latino [cribellum], diminutivo di [cribrum] vaglio.
Crivellato o trivellato? Si differenziano solo per l'iniziale, e trasmettono immagini che possono convergere, ma non significano la stessa cosa.
Cerchiamo di fare ordine.
Il crivello è sostanzialmente un setaccio:
ma 'crivellare qualcosa' non significa 'passarlo attraverso un crivello' - come accade invece a 'setacciare', che vuol dire, appunto, 'passare attraverso un setaccio'.
Crivellare qualcosa significa farvi tanti buchi da farlo sembrare un crivello.
Ad esempio, puoi crivellare un casco con un punteruolo per farne uno scolapasta. Misteri dell'uso.
Al quadro già insolito si aggiunge la confusione del 'trivellare'.
Trivellare significa 'forare con una trivella', cioè con uno strumento di varia specie che - sorpresa! - pratica fori.
È quindi trivellato ciò che è stato forato da una trivella.
A ben vedere, si può dire che il terreno è crivellato dalle trivelle - da cui è anche, ovviamente, trivellato.
Anzi spesso il permesso di trivellare viene confuso con quello di crivellare.
Di solito si sente dire che il corpo della persona uccisa è crivellato di colpi; se è trivellato, invece, l'uccisione è stata insolitamente cruenta.
Va detto: nel 'crivellato di colpi' troviamo una locuzione che statisticamente esaurisce l'uso di questa parola.
Ma, come si capisce, non c'è ragione per non usarla con fantasia
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Di solito si sente dire che il corpo della persona uccisa è crivellato di colpi; se è trivellato, invece, l'uccisione è stata insolitamente cruenta.
Questi tipi mi fanno morir dal ridere!
Adorazione mattutina :D
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Parola del giorno dedicata a Ignazio Marino?
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io dico solo che mi sono volutamente vestita di nero e da vecchia
che si capisca il mio stato d'animo
c'ho solo un pò di verde speranza, ma è un verde molto cupo
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Ma povero Marino, un ingenuotto, però abbastanza capace ed onesto, vittima di qualcosa più grande di lui. D'altronde lui era iscritto al PD, che ne sapeva che il suo partito sarebbe diventato Forza Italia 2, la vendemmia?
E qui finisco il mio OT.
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Io sono in immersione totale nell'ot
mi sento catapultata alla non elezione di Prodi
ma sto in paranoia seria per questa cosa eh!
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Outing
[à uting]
SIGN Pratica che consiste nel rivelare il segreto orientamento sessuale di una persona
voce inglese, costruita a partire dall'avverbio [out] fuori, presente nell'espressione [coming out],
e trasformato nel verbo transitivo [to out] buttare fuori.
Altrimenti, [outing] ha anche il significato di gita, escursione.
Una parola usata il più delle volte a sproposito, che ci fa fare la figura dei provincialotti.
Infatti questo termine viene spesso usato erroneamente per indicare il 'coming out', cioè la rivelazione del proprio orientamento sessuale (specie se omosessuale);
invece, si tratta di una pratica, giornalistica e politica, che consiste nel rivelare l'orientamento sessuale di una persona, che questa aveva tenuto nascosto.
La metafora che sostiene queste espressioni è quella dell'armadio (in inglese, 'closet', che ha anche il significato figurato di 'segreto'),
una metafora forte e delicata con cui si indica la costrizione e la riservatezza del vivere nascostamente la propria sessualità :
il 'coming out', il venire fuori, si riferisce al 'coming out of the closet', cioè all'uscire dall'armadio.
L'outing, invece, diventa il buttare fuori dall'armadio, senza la volontà della persona.
L'intento dell'outing è pettegolo nelle migliori delle ipotesi, denigratorio nelle peggiori.
È una cifra importante dei nostri tempi: essere incuriositi dalla sessualità altrui, anche un po' morbosamente, è una normale tendenza umana;
ma si tratta di un interesse adolescenziale.
Una sua piega scandalistica è sintomo di un approccio poco e immaturo, e dà la vertigine pensare alla povertà di chi ha urgenza di parlare delle inclinazioni sessuali altrui.
Va detto che, nell'uso comune, con 'outing' si intende anche una qualunque rivelazione che qualcuno fa di un proprio segreto, specie amoroso:
ad esempio il collega può fare outing rivelando a tutti che sta da mesi con la segretaria.
Un uso improprio di un uso improprio: se prende piede i gendarmi non intervengono, ma, rimanendo una voce inglese, rispetto al panorama internazionale è davvero un significato inconsueto - e finisce per essere, appunto, un po' provinciale.
Dopotutto, il grosso problema degli anglicismi in italiano è che gli italiani non sanno l'inglese.
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io faccio outing con il grassetto :D
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Cioè stai insieme al pulsante B?
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ahahahahah, scemone!
anzi, nel prossimo post ti dico chi sei! :D
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Monello
[mo-nèl-lo]
SIGN Ragazzo indisciplinato, impertinente, chiassoso, anche in senso scherzoso
etimo incerto. Il primo significato con cui è attestato, nel XVII secolo, è quello di povero che si finge storpio o malato per suscitare pietà e ottenere elemosine.
Oggi, se parliamo di un monello, intendiamo descrivere un ragazzetto maleducato, impertinente, sempre pronto a fare nuovi scherzi:
la sua giocosa vivacità invita però uno sguardo affettuoso e divertito.
In piazza dei monelli lanciano piccoli petardi, il bambino monello si nasconde quando la nonna lo chiama, e sarà pure un monello, ma tutti lo adorano.
Come è accaduto a molte altre parole simili, in origine non aveva un significato così leggero e dolce.
Il monello, inizialmente, era colui che si fingeva storpio o malato per procacciarsi elemosine più ricche - un truffatore o un delinquentello dappoco.
Il passaggio da questa figura a quella del ragazzetto discolo è stato breve, e lo ritroviamo pari pari in parole come 'malandrino', 'birichino', 'birba';
e un passaggio semantico simile si può trovare anche in 'briccone' e in 'marachella'. È una transizione davvero comune.
L'etimologia di 'monello' resta comunque incerta: c'è chi lo ha accostato al latino monedula, cioè 'gazza',
e chi invece lo ha interpretato come un diminutivo familiare di 'Simone', o vi ha visto un incrocio con 'mòna',
termine di origine spagnola per 'scimmia'.
Si tratta di una parola scaturita dalla vita di strada, ed è difficile risalire con sicurezza attraverso l'oralità dei vicoli: un dato che la rende ancora più vivida e simpatica.
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Sono proprio un Moonello!
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Sei anche un po' un mona, va detto.
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Fracco
[frà c-co]
SIGN Gran quantità
dal settentrionalismo [fraccare] schiacciare, probabilmente derivato dal latino [frangere] rompere, attraverso la forma parlata [fragicare].
È una parola usata solo al singolare:
indica una grande quantità , infatti si sente parlare dei tizi ubriachi che si sono dati un fracco di botte,
dell'affare che frutta un fracco di quattrini, della festa in cui c'era un fracco di gente.
Si tratta di una voce settentrionale, che però sta salendo via via alla ribalta nazionale - anche nella forma 'fraccata', o 'sfracco'.
È vivace, gagliarda, e certo non aulica; etimologicamente, richiama il significato della grande quantità attraverso il peso che ha una gran mole,
che schiaccia e spacca: un'associazione callida ed estremamente espressiva.
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io la uso tantissimo
negli ultimi giorni sto scoprendo che un sacco di parole che utilizzo spesso on sono affatto romane
chissà da dove le piglio...
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Queste romanocentriche...
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ahahahha
il ragù romano lo hai mai assaggiato?
ahahahahahah
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Lol e i tortellini romani li fate?
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Quante barzellette sulle bolognesi e i tortellini...
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I tortellini capitali.
A roma mi faceva molto ridere il fatto che chiamassero "pizza bianca" la focaccia.
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Beh pizza bianca e focaccia sono cose diverse..
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Roboante
[ro-bo-à n-te]
SIGN Che rimbomba, fragoroso; tronfio, altisonante
variante di [reboante], dal latino [reboans], participio presente di [reboare] rimbombare, derivato di [boare] risuonare, composto ripetitivo del greco [boan] gridare, probabilmente connesso al muggito dei [buoi].
Va detto: i dizionari non mancano mai di segnalare che si tratta di una variante meno corretta di 'reboante'.
Ma 'roboante' sta vincendo di molte misure la sfida della diffusione - tanto da essere l'unica variante comunemente usata.
E ha anche un suo perché: se è roboante un rombo che rimbomba fragoroso, è naturale che la 'o' la debba fare da padrona.
Mica la 'e'. 'Reboante' è molto più costretto e lezioso, anche se più corretto:
il 're-' iniziale ha un senso decisivo, poiché trasforma il significato di un suono nella sua ripetizione.
Ma basta aver contezza di questo passaggio fonetico.
Il roboante, allora, è ciò che rimbomba, ciò che è fragoroso: può essere roboante il camion, il temporale, il rutto.
Ma un significato di così grande smalto ha anche dei risvolti figurati: il roboante diventa l'altisonante, il tronfio, ciò che fa gran rumore senza aver sostanza.
Può essere roboante la promessa del candidato, roboante l'inizio del film d'azione che poi si rivela una ciofeca, roboante il corteggiamento ostentato ma poco... fattivo.
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Di reboante ignoravo l'esistenza
e continuerò così!
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Anch'io preferisco roboante!
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Dispotico
di-spò-ti-co
SIGNTirannico, autoritario, prepotente
dal greco despotikòs del padrone, da despòtes padrone, sovrano.
Una parola fine e dura con cui indicare un atteggiamento particolarmente odioso.
Despota, in antichità , era il titolo che veniva tributato ai sovrani orientali;
modernamente, ha continuato a indicare un sovrano che esercita un potere assoluto.
È facile intendere come è che a figure del genere si ricolleghino subito attributi di tirannia e prepotenza:
così dispotico è diventato colui che si comporta in maniera autoritaria, rigida, dettando la sua forzuta volontà .
Può dirsi dispotico il datore di lavoro che impone orari balzani e straordinari non retribuiti, può essere dispotica la moglie che comanda l'intera famiglia a bacchetta, dispotico il regime retto da una teocrazia.
Il sapore è quello di una sovranità da satrapo, molto incline all'abuso.
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Tutti noi conosciamo un dispotico
Anche sul forum :D
tittittittttiiiiiiiiiiiiiiii
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:unknw:
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Chissà come mai proprio tu hai sentito l esigenza di rispondere :D
(Al di la del fatto che rispondi sempre,ma quello non mi fa comodo contro di te...)
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Malinconia
ma-lin-co-nì-a
dal greco: mèlanos nero e cholè bile.
La bile nera in medicina era uno dei quattro umori fondamentali della Teoria degli umori di Ippocrate.
La malinconia non è una tristezza qualsiasi: come scriveva Victor Hugo,
"la malinconia è la felicità d'essere tristi",
una tristezza dal sorriso mesto, vereconda e senza strepiti, densa di riflessioni ben capaci di arricchire -
quasi pioggia fertile che si alterni al sole della gioia.
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no vabbè, per dirlo in maniera poetica...
m'ha sdraiato!
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Mi viene in mente Malincuore :D
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Mi viene in mente Malincuore :D
forse quello è un filino troppo anche per me :D
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Io non commenterò :look:
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Ciarlatano
[ciar-la-tà -no]
SIGN Imbonitore, venditore ambulante; imbroglione, impostore
derivato di [cerretano], probabilmente incrociato con [ciarlare].
Nelle città medievali capitava spesso che arrivassero venditori ambulanti, commercianti viaggiatori - molte volte, l'unico contatto economico con l'esterno.
E spesso, questi tentavano di approfittarsi dei locali vendendo rimedi miracolosi, merci straordinarie,
inventando storie di fantasia e spacciandosi per persone che non erano, con grande abbondanza di chiacchiere.
Ora, fra i primi a svolgere questo tipo di traffici su e giù per lo Stivale ci furono gli abitanti di Cerreto di Spoleto,
splendido borgo umbro, tanto che l'intero tipo di commercianti di questo genere prese il nome di "cerretano".
questo nome, in breve, mutò forma in "ciarlatano", probabilmente perché incrociato col verbo "ciarlare": nessuno ciarlava come i cerretani.
Oggi la natura del ciarlatano non è cambiata poi molto: resta il venditore ambulante che imbonisce con furbizia la platea di un mercato, il medico che spaccia con eloquenza rimedi alternativi come straordinariamente efficaci, il politico doppiogiochista che persevera nel fare lunghe promesse:
l'intento del ciarlatano è sempre chiaramente truffaldino, e lui finisce per essere un impostore, una contraffazione di ciò che ci si aspetta che sia.
(Però la figura dell'antico ciarlatano, anche se non è positiva, è favolosa e suggestiva, tanto lontana che è quasi difficile da immaginare: spostarsi da una città all'altra in un mondo frammentato e senza comunicazioni, e un carro, un abito solenne o di foggia orientale, un nome e un titolo fascinoso - dottor Dulcamara? - e una parlantina arguta bastano a spacciarsi per un sapiente, magari arrivato dall'altro capo del mare, vendendo filtri d'amore ed elisiri di lunga vita, portando truffe e magie in un viaggio libero e rischioso sotto il cielo.)
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ma non lo sapevo!!!!
Figo! :)
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Saran contenti gli abitanti di Cerreto!
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devono essere orgogliosi secondo me!
a parte l'aver dato un nome che usiamo tutti e poi il ciarlatano deve essere molto intelligente e scaltro
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Ubiquità
[u-bi-qui-tà ]
SIGN Onnipresenza; facoltà soprannaturale di trovarsi in più luoghi contemporaneamente
dal latino medievale [ubiquitas], derivato del latino [ubique] 'in ogni luogo'.
La locuzione "avere il dono dell'ubiquità " quasi esaurisce statisticamente l'uso di questa parola.
Ma è versatile, ed è un peccato che sia imprigionata in locuzioni stereotipate.
L'ubiquità , propriamente, è l'onnipresenza:
in questo senso si può parlare dell'ubiquità di Dio, o dell'ubiquità di piante o animali che sono presenti (quasi) su tutto il globo - come gramigna, mosche, topi e umani (che crema...!). Questo dovrebbe essere il senso principale.
Ma più comunemente questa parola si riferisce alla capacità , divina o magica, di trovarsi contemporaneamente in due o più luoghi,
che propriamente si chiamerebbe 'bilocazione' o 'multilocazione':
il richiamo al "dono dell'ubiquità " è infatti solitamente incluso in frasi come
«Non posso andare anche a quelle feste, stasera, non ho il dono dell'ubiquità !».
Curiosamente, si tratta di una dote soprannaturale che nella nostra tradizione non ha mai avuto l'odore solforoso della stregoneria:
infatti è una capacità che si attribuisce a molti santi cristiani - e anche in oriente è spesso collegata a figure di alto spessore mistico.
Ovviamente si tratta di una fanfaluca priva di riscontri scientifici; ma anzi proprio per questo trasmette un'ironia gagliarda.
Recuperando il significato proprio di 'onnipresenza', si può parlare del conferenziere ubiquo presente a una sovrumana raffica di incontri su tutto il territorio nazionale; dell'ubiquità di un prodotto che si trova venduto sotto casa nostra e nel mercatino dall'altra parte del mondo;
dell'ubiquità del faccendiere, il cui nome emerge in una quantità di indagini fra loro, inizialmente, non collegate.
Infine, rispetto al sinonimo 'onnipresenza', troviamo che la parola 'ubiquità ' suona più simpatica, meno solenne e al tempo stesso più ricercata.
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mia madre lo dice spesso! ^^
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pure io :)
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Metafora
[me-tà -fo-ra]
SIGN Figura retorica che consiste nella sostituzione di un termine con un altro secondo analogia,
rispetto a cui è sottintesa una similitudine; traslato
dal greco [metaphorà ] trasferimento, composto da [meta] oltre e [phero] portare.
Questo è un caso in cui inquadrare un processo linguistico come figura retorica ti dà la netta impressione di essere riduttivo.
Infatti la metafora non è un mezzo espressivo qualunque, né è un semplice vezzo.
È un metodo di arricchimento del pensiero attraverso la ricombinazione di elementi comuni.
Pervade incessantemente la lingua e il pensiero: in auto sono un fulmine, l'azienda è piena di squali, l'entusiasmo arde;
in generale, parte rilevante delle espressioni linguistiche a cui ricorriamo, consapevolmente o no, è metafora.
Si trova spesso scritto che si tratta di una sostituzione fra termini: a uno consueto e lineare se ne sostituisce uno deviante.
Per dirla con Aristotele, consiste nel trasferimento del nome di una cosa ad un'altra cosa.
Fra questi termini c'è una particolare affinità semantica, rivelata e cavalcata dalla metafora
(che ovviamente non può cavalcare, è una metafora).:)
Questo è un procedimento straordinariamente complesso:
un'analogia intuita ed espressa fornisce un'informazione nuova sommando immagini diverse.
Qualcuno potrebbe pensare che dopotutto è solo una similitudine implicita, priva di avverbi di paragone, un collegamento intelligente, evocativo o divertente: potrei ben dire che guido veloce come un fulmine,
i capi sono spietati come squali, l'entusiasmo è vivido come una fiamma.
Ma sarebbe un pensiero poco perspicace.
È proprio l'ellissi, il gradino mancante che richiede il salto a fare della metafora uno strumento di collegamento intuitivo, di riorganizzazione fra luoghi comuni.
Nel cammino lineare si scava un sentiero consueto; col salto, è più facile deviare e determinare un'invenzione poetica - che non è solo interessante a fini estetici o narrativi.
Locupleta una linea di pensiero.
Inoltre è più frizzante e interessante; provate a chiedere a qualcuno di fare un salto: avrete la sua piena attenzione.
Così, se dico che in auto sono un fulmine intendo che sono veloce, ma i più acuti mi diranno «Ti schianti sugli alberi?»;
se dico che il capo è uno squalo richiamerò una galassia di luoghi comuni relativi agli squali che va molto, molto oltre la spietatezza;
e nella mente l'entusiasmo che arde si sovrappone subito alla fiamma, al suo simbolo, alle sensazioni che tutti vi ricolleghiamo.
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mi piace proprio come scrivono, sti tipi
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Concordo, bella presentazione!
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Ed è anche un piatto tipico della valsugana.
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Ahah, vero, sai che l'avevo rimossa?
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Paturnie
[pa-tùr-nie]
SIGN Malumore, irritazione, stizza
(quelle che c'ha momo 'sti giorni)
etimologia incerta. Forse si tratta di una sovrapposizione fra [patire] e [Saturno].
Non sarà una parola aulica, ma è una risorsa interessante, che riserva qualche sorpresa.
Va subito notato che si trova usata quasi esclusivamente al plurale: esisterebbe anche la forma 'paturnia', ma è davvero rara.
Le paturnie sono uno stato di malumore, un po' malinconico e decisamente irritato: si dice che l'amica ha le paturnie, e quindi oggi è meglio assecondarla; (assecondatemi quindi)
giorni dal tempo uggioso invitano paturnie sgradevoli; e ascoltare le declamazioni del sedicente poeta fa venire le paturnie.
L'etimologia non è certa, ma l'ipotesi più accreditata è davvero affascinante: si tratterebbe di una sovrapposizione fra 'patire', cioè soffrire, e 'Saturno'.
(c'ho Saturno contro praticamente)
Che c'entra Saturno? Semplice: in astrologia, a questo pianeta sono ricollegati influssi malinconici.
Quindi la persona che ha le paturnie sarebbe presa da un sentimento un po' sofferente del tipo che suscita Saturno.
Insomma, una parola molto eloquente: è spesso da un sentimento un po' scuro che scaturiscono le spiacevolezze di stizza e irritazione.
E andrebbero quindi considerate con gentilezza.
:asd:
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Saturno è il mio pianeta.
Ho deciso autonomamente così quando ho scoperto che era il pianeta dei malinconici.
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a malinconia mi sa che ti batto eh
ma io NON ne sono felice
pigliati pure la mia e via!
io voglio Marte
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Imparare
[im-pa-rà -re (io im-pà -ro)]
SIGN Acquisire una conoscenza, un'abilità , un comportamento
attraverso il latino parlato [imparare] acquistare, composto da un [in] illativo e da [parare] procurare.
Quando una parola ha una valanga di sinonimi è segno che il significato che denota è molto vivo e complesso (e quindi importante), e nei secoli c'è stato bisogno di prenderlo da più parti. È il caso di 'imparare', che denota, in senso lato, l'acquisizione di una conoscenza.
Etimologicamente, imparare significa procurarsi qualcosa, e la versatilità di questo significato è evidente.
Imparando, ci si procaccia una risorsa - che può consistere in un sapere, in un'abilità , o in un comportamento.
Non è il solo termine, nella compagine di sinonimi che denota l'acquisizione di una conoscenza, a comunicare una cattura da parte della mente:
pensiamo ad 'apprendere' o a 'capire'.
Però l'imparare resta più concreto, autentico e versatile, con un più intenso connotato di far proprio - forse proprio perché è più intensa l'immagine etimologica del procacciare ciò che si impara.
Così si possono imparare buone maniere e poesie a memoria, un'arte marziale, un procedimento logico o una lingua.
- Ho cominciato a imparlar l'italiano -
"Imparlare" è una bellissima sintesi di imparare e parlare.
Perché non si può imparare una lingua senza parlarla e ogni volta che la si parla, si impara.
Certo è che quando la si parla senza conoscerla bene, si fanno errori, errori prevedibili ma anche divertenti e a volte rivelatori.
Come confondere due parole che vengono da un'area semantica simile, e fonderle in una parola nuova.
Quindi oltre a imparlare ogni insegnante di italiano per stranieri ha sentito parlare di 'giulio', il tredicesimo mese dell'anno (giugno più luglio)
e una volta delle studentesse mi hanno detto, impassibili, che loro a Natale mangiano il 'lecchino' (lenticchie e cotechino).
Questi errori divertenti sono le "perle" di italiano per stranieri. Sono una buona occasione per conoscere la nostra lingua vista da fuori e per gli studenti sono un pretesto per vedere le trappole in cui è facile cadere quando si studia l'italiano.
A confondere ulteriormente le idee agli studenti, c'è il fatto che nell'uso popolare imparare voglia dire sia insegnare che imparare.
Come se non ci fosse differenza fra le due cose.
È una confusione romantica ma anche sensata, infatti insegnando io imparo e gli studenti imparando, insegnano.
Come se il dare e il ricevere sapere facessero parte della stessa azione, lo stesso ciclo.
Lo disse meglio di tutti un mio studente qualche anno fa, dopo una spiegazione lunga su un argomento difficile: "So tutto, ma solo quando imparo".
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In realtà è più che altro l'uso napoletano, quello di imparare confuso con insegnare.
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dici? io qui lo sento parecchio...
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vabbè ma per un brianzolo Roma e Napoli sono lì, le confonde pure
Sono più giù del Po, d'altronde :D
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Ah, allora è una roba meridionale.
(dico così perché l'unico che avevo sentito usarlo era tidus :D )
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In napoletano la parola insegnare non esiste e imparare ('mparà ) viene usato in entrambi i sensi. Da qui l'errore quando si parla in italiano.
Il fatto è che a Sud del Garigliano l'italiano è la seconda lingua, per cui può capitare di commettere errori con le parole cosiddette "falsi amici", un po' come chiamare preservatives i preservativi.
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Me l'ha imparato lui :P
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Ma quindi il modo di dire "chi non sa, insegna" a Napoli diventa "chi non sa, impara"?
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Ma quindi il modo di dire "chi non sa, insegna" a Napoli diventa "chi non sa, impara"?
Se lo dici in italiano suonerebbe così e farebbe pure ridere. In napoletano il detto è : chi n'o sape fà , all'at vo mparà (che tradotto è: chi non lo sa fare, agli altri vuole insegnare)
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In pratica a Napoli il verbo imparare se usato col complemento oggetto è "imparare" se usato col complemento di termine è "insegnare".
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non potevo proprio tirarmi indietro su questa...
Gufare
[gu-fà -re (io gù-fo)]
SIGN Emettere il verso del gufo; portare sfortuna
da [gufo], alterazione del latino [bubo] di origine onomatopeica.
Per quanto oggi il gufo sia un animale molto amato e universalmente simpatico,
in una quantità impressionante di culture - dall'Occidente alla Cina - era tradizionalmente considerato un simbolo oscuro, mortifero, funesto.
Il fatto che fosse un rapace notturno non giovava a una reputazione particolarmente amabile,
ma in special modo gli erano ricollegate credenze superstiziose tanto pervicaci quanto prive di fondamento (quale quella che divorasse sua madre) ( :O).
Quindi, è naturale che il 'gufare', oltre a significare 'fare il verso del gufo', significhi 'portare scalogna'.
In questo senso (piuttosto recente, a quanto pare) appartiene a un registro popolare: si può invitare l'amico a smettere di gufare quando insiste nel dirci che cosa può andare storto,
un augurio troppo sicuro può essere sentito come una gufata, e si può attribuire l'insuccesso all'intenso gufare di un detrattore.
A questo uso è dovuta anche la trasformazione figurata del gufo da persona poco socievole (come era inteso a partire dal Rinascimento) a persona disfattista e iettatrice.
La discrasia fra la moderna idea del gufo e questi usi fondati su antiche credenze resta una perla di cui pochissimi sono consapevoli.
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io aprirei una sorta di sondaggio su chi è il migliore (o peggiore) gufatore del forum :)
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Nessuno mi tocchi i gufi!
Che l'altro giorno giocavo a Seasons con una francese con un gufo in avatar e abbiam fatto l'elogio del gufo in due lingue, in inglese e in francese!
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io aprirei una sorta di sondaggio su chi è il migliore (o peggiore) gufatore del forum :)
Nessuno mi tocchi i gufi!
Che l'altro giorno giocavo a Seasons con una francese con un gufo in avatar e abbiam fatto l'elogio del gufo in due lingue, in inglese e in francese!
Ha già vinto.